"Voglio andare a letto con molte persone, voglio vivere": i diari di Susan Sontag
La storia intensa di Susan Sontag, intellettuale e scrittrice americana, simbolo del nuovo modello femminile del Novecento
La storia intensa di Susan Sontag, intellettuale e scrittrice americana, simbolo del nuovo modello femminile del Novecento
“Tra le principali funzioni (sociali) di un diario c’è proprio quella di essere letto furtivamente da altre persone, quelle persone (come i genitori e gli amanti) sui quali si è stati crudelmente sinceri solo nel diario”. Così scriveva Susan Sontag nel 1958 in uno dei tanti taccuini compilati dall’adolescenza fino alla morte. E di certo lei era più che schietta nei suoi diari, oggi pubblicati nella raccolta Rinata dalla casa editrice nottetempo.
Superficiale intendere il diario solo come il ricettacolo dei propri pensieri privati, segreti – come se fosse un confidente sordo, muto e analfabeta. Nel diario non mi limito a esprimere me stessa più apertamente di quanto potrei farei con un’altra persona; creo me stessa. Il diario è un mezzo per darmi un senso d’identità. Mi rappresenta come emotivamente e spiritualmente indipendente. Perciò (purtroppo) non registra semplicemente la mia vita concreta, quotidiana ma piuttosto – in molti casi- ne offre una alternativa.
Susan Sontag era consapevole di essere speciale e non era mai ironica quando si trattava di parlare del suo intelletto e delle sue capacità di scrittrice e saggista. Tanti libri diventati dei classici, come Sulla fotografia e Oltre la letteratura, ma era nei taccuini che usciva la sua personalità, con tutte le diverse sfaccettature. Nei suoi diari compilava liste di autori che avrebbe voluto leggere e di gruppi da ascoltare, che poi spuntava, ma si dava anche delle regole precise e banali, come quella di fare il bagno ogni giorno e lavare i capelli ogni dieci. E poi c’erano l’amore e il sesso.
L’orgasmo mi fa concentrare. Ho una gran voglia di scrivere. L’arrivo dell’orgasmo non è la salvezza ma, qualcosa di più, la nascita del mio ego. Non posso scrivere finché non trovo il mio ego. L’unico tipo di scrittore che potrei essere è il tipo che si espone… Scrivere è spendersi, giocarsi d’azzardo. Ma fino ad ora non mi era piaciuto nemmeno il suono del mio nome. Per scrivere, devo amare il mio nome. Gli scrittori sono innamorati di se stessi… e i libri che scrivono nascono da quell’incontro e da quella violenza.
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Nata a New York nel 1933 da una famiglia ebrea, Susan Sontag era affamata di vita. Rimasta orfana di padre a cinque anni, prese il cognome del patrigno e si tuffò negli studi, con risultati eccezionali. Ancora quindicenne, prese il diploma, in anticipo di tre anni, per laurearsi in filosofia a Berkeley e Chicago, poi in letteratura inglese ad Harvard University.
Persino il matrimonio arrivò prima del previsto, a soli diciassette anni: Philip Rieff, insegnante di sociologia a Chicago, ci mise solo dieci giorni per farla capitolare. Restarono insieme per otto anni ed ebbero un figlio, anche se poco prima di sposarsi lei era stata molto chiara su ciò che voleva dalla vita, affidando parole decise al suo diario.
Adesso conosco un po’ le mie capacità… so quello che voglio fare della mia vita, tutto ciò che per me in passato è stato così difficile capire adesso è così semplice. Voglio andare a letto con molte persone – voglio vivere e aborro la morte – non insegnerò e non prenderò un master dopo la laurea… non intendo lasciarmi dominare dall’intelletto, e l’ultima cosa che desidero è idolatrare il sapere o chi lo possiede! Mi coinvolgerò appieno… tutto è importante.
Susan Sontag parlò anche della scoperta dell’omosessualità nelle pagine dei suoi taccuini.
Il mio desiderio di scrivere è connesso alla mia omosessualità. Ho bisogno di quell’identità come di un’arma, da contrapporre all’arma che la società usa contro di me.
Parlò di una donna in particolare, con cui aveva avuto una relazione:
La mia relazione con Harriet mi turba. Io vorrei che non fosse pensata, premeditata, ma l’ombra delle sue aspettative rispetto a ciò che dovrebbe essere una “storia” sconvolge il mio equilibrio, mi fa annaspare. Lei con le sue insoddisfazioni romantiche, io con i miei bisogni e i miei desideri romantici…
Alla fine, però, fu un’altra donna a rimanerle accanto fino alla fine: negli Anni Ottanta conobbe la fotografa Annie Leibovitz e visse con lei fino al 28 dicembre 2004, il giorno in cui perse la sua battaglia contro la leucemia.
Susan Sontag e Annie Leibovitz viaggiarono molto insieme, ma non ebbero una relazione esclusiva. Solo nel 2006, in un’intervista, la fotografa le confessò pubblicamente il suo amore.
Chiamateci amanti. Amanti mi piace, suona romantico. Voglio essere chiara: amo Susan, non ho problemi a dirlo.
La paura di invecchiare viene nel momento in cui si riconosce di non vivere la vita che si desidera. Equivale alla sensazione di abusare del presente.
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