Questo libro vuole riflettere sulla necessità di costruire insieme una cultura fondata sul consenso, la comunicazione e il rispetto reciproco, in cui nessuna persona debba imparare a difendersi. Una cultura in cui "no" significa "no", un silenzio significa "no", e solamente "sì" significa "sì".
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Tutt*, perché la cultura dello stupro è un problema generale che ci appartiene.
Di rape culture si parla poco e male, eppure la nostra società ne è completamente impregnata. Con il termine di cultura dello stupro si intende l’insieme dei comportamenti, dei pensieri e delle norme socialmente accettate che contribuiscono a plasmare una società in cui le violenze sessuali sono tollerate.
L’attivista Benedetta Lo Zito, survivor, ne fa un quadro analitico e preciso in No significa no, libro uscito il 19 aprile 2022 per Eris. Dov’è la rape culture? Tutta intorno a noi: la ritroviamo nei nostri comportamenti quotidiani, nei modi di dire che utilizziamo senza farci troppo caso, nel nostro sistema politico e sociale che pone sempre più l’accento sulle vittime, cercando in loro a tutti i costi una corresponsabilità piuttosto che condannare unicamente chi agisce la violenza.
La ritroviamo in quelle frasi, “Certo che se vai in giro vestita così”; “Se bevi troppo poi te lo devi aspettare”; “Anche tu lo hai provocato” che perpetuano un’ideologia patriarcale e sessista; un’indagine Istat del 2019 ha evidenziato che 1 persona su 4 (23,9%) ritiene tutt’oggi che un modo di vestire provocante possa causare una violenza sessuale; quasi il 40% degli intervistati pensa che, se una donna lo vuole davvero, può sottrarsi a un rapporto non consensuale; il 15% crede che se una donna subisce uno stupro in stato di alterata percezione della realtà sia anche responsabilità sua.
Lo Zito riflette sulla falsità di tutte queste convinzioni, sulla necessità di liberarsi dai pregiudizi e dagli sterotipi mentali in cui tutt* noi, uomini e donne, siamo chius*, e su quella di ricostruire una filosofia diversa, dove “no significa no”.
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