Anni luce

Recensione e trama

C’era una volta il mondo. Nel mondo, c’era una città in cui pioveva trecento giorni l’anno. La città si chiamava Seattle, estremo occidente degli Stati Uniti d’America. In questa città arrivò un surfista che veniva da San Diego, un fan scatenato degli Who e dei Ramones. In questo surfista, c’era un’anima. In quest’anima, c’era lo spirito di un’epoca.

Dopo La misura del danno, edito da Fernandel, Andrea Pomella torna a cimentarsi con un romanzo ispirata a un pezzo dei Pearl Jam.

Proprio dallo sviluppo di una canzone contenuta su Ten, il primo disco della storica band di Seattle, parte la trama di Anni luce, la storia di un’amicizia, quella fra Q., un compagno di sbronze, chitarrista, viaggiatore, sognatore, e il narratore, la cui voce finisce col confondersi con quella di Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam.
Ci sono anni senza pace in cui il mondo lascia indifferenti, ma c’è anche quell’amico che ci comprende e a cui possiamo dire davvero tutto, perché è come se stessimo parlando allo specchio, o di fronte a qualcuno conosciuto da tutta una vita. E, come nei migliori romanzi di formazione, c’è un viaggio, insensato ma indimenticabile, attraverso l’Europa. Uno di quelli che sarà ricordato per i giri fatti per cercare il posto in cui il whisky costa meno, per le rotte fatte al contrario con lo zaino di nuovo pieno di bottiglie, per le sensazioni lasciate. Come un moderno On the road, Anni luce è un romanzo che racchiude una passione inquieta, ribelle, guardando dritto nel vuoto e nel disagio di una generazione che nel grunge dei primi anni Novanta si è riconosciuta in modo quasi simbiotico.