Tutte noi, almeno una volta nella vita, abbiamo sperimentato l’errore, il fallimento. È accaduto perfino a J.K. Rowling, la celeberrima scrittrice che ha inventato Harry Potter. Che nel 2008 fu invitata a Harvard a tenere il discorso per i laureati di quell’anno – discorso (testo integrale qui) che poi fu ampliato e confluì in un libro illustrato dal titolo Buona vita a tutti – I benefici del fallimento e l’importanza dell’immaginazione.
Ma cosa disse di così esemplare J.K. Rowling in quel discorso? Il compito degli artisti è da sempre mostrare alle persone ciò che è sempre molto vicino agli occhi ma ciononostante non viene visto: la scrittrice, partendo dalla sua esperienza personale, aprì uno squarcio su temi come lo studio, i consigli dei genitori, la sua esperienza con Amnesty International, gli sbagli e l’immaginazione appunto.
Fallire ha voluto dire spogliarsi dell’inessenziale. Ho smesso di fingere di essere qualcos’altro se non me stessa e ho iniziato a indirizzare tutte le mie energie verso la conclusione dell’unico lavoro che per me aveva importanza. Non mi occupavo davvero di nient’altro, se non trovare la determinazione nel riuscire in un campo a cui credevo di appartenere veramente. Ero finalmente libera perché la mia più grande paura si era davvero avverata, ed ero ancora viva, e avevo già una figlia che ho adorato, e avevo una vecchia macchina da scrivere e una grande idea. E così concrete basi divennero solide fondamenta su cui ricostruire la mia vita.
Il fallimento accade. Genera dolore, frustrazione, depressione. Ma chi è che non fallisce mai? Solo chi è «prudente da non vivere del tutto» disse J.K. Rowling e chi fa così ha «fallito in partenza». Gli errori commessi, secondo la scrittrice, le hanno dato una sicurezza interiore che invece ai tempi dei successi universitari non aveva riscontrato: è in questo modo che ha imparato molte cose su se stessa, ha trovato volontà e disciplina nel suo modo d’essere, ha scoperto di avere dei grandi amici. Certo però, un fallimento non significa che poi non ce ne saranno altri.
Avendo una macchina del tempo o un Giratempo, direi alla me stessa di 21 anni che la felicità personale si trova nel sapere che la vita non è una lista di cose da raggiungere o in cui avere successo. Le vostre qualifiche, il vostro curriculum non sono la vostra vita, sebbene possiate incontrare molte persone della mia età e oltre che confondono le due cose. La vita è difficile, è complicata, non è possibile tenerla totalmente sotto controllo, è l’umiltà di sapere che sarete capaci di sopravvivere alle sue sfide.
Sfogliamo insieme la gallery per scoprire quali siano stati gli errori e i momenti difficili per J.K. Rowling.
Gli ostacoli dei genitori
Come può essere accaduto a molte persone, i genitori di J.K. Rowling avevano immaginato un futuro stabile per lei, un futuro che alcuni credono che i mestieri creativi non possano assicurare. Così come gli studi in lettere classiche, che alla fine lei ha scelto.
Non biasimo – disse durante quel discorso ad Harvard – i miei genitori per il loro punto di vista. […] Non posso criticare i miei genitori per il desiderio di risparmiarmi l’esperienza della povertà. Lo furono loro stessi, e pure io lo sono stata da allora, e sono abbastanza d’accordo con loro che non sia un’esperienza sublime. La povertà comporta paura, e stress, e qualche volta depressione; vuol dire mille piccole umiliazioni e privazioni. Tirarsi fuori dalla povertà con le proprie forze, questo invece è ciò di cui poter essere orgogliosi, ma la povertà stessa è romantica solo per gli stolti.
L’esperienza con Amnesty International
Il primo lavoro che J.K. Rowling svolse fu a Londra per Amnesty International – nelle pause pranzo iniziò però a scrivere Harry Potter e la pietra filosofale, nonché una traccia degli altri romanzi. Durante questo impiego venne in contatto con un’umanità abusata – in gran parte rifugiati dall’Africa – scoprendone i drammi infiniti.
Ogni giorno vedevo con più evidenza i mali dell’umanità – raccontò – che avrebbero afflitto gli stessi esseri umani per ottenere o mantenere il potere. Iniziai ad avere incubi, veri incubi, sulle cose che vedevo, sentivo e leggevo.
Il matrimonio e il divorzio
Dopo l’impiego con Amnesty International, la scrittrice si trasferì in Portogallo, per insegnare lingua inglese. Nel 1992 sposò il giornalista Jorge Arantes. L’anno dopo nacque la figlia Jessica e J.K. Rowling si separò. Lei e la figlia si trasferirono quindi a Edimburgo dalla sorella dell’artista.
Penso – ha illustrato – sia giusto dire che oltre ogni misura nei soli sette anni seguenti il giorno della laurea ho fallito in modo epico. Un matrimonio eccezionalmente corto si è sgretolato, ed ero senza lavoro, orfana di mia madre, e povera tanto quanto è stato possibile nell’Inghilterra moderna, senza contare la mancanza di una casa.
La depressione
Tornata nel Regno Unito, J.K. Rowling soffrì di depressione, anche perché, essendo disoccupata, era costretta a vivere con i sussidi statali. Fu in quel periodo che ricominciò a credere in Harry Potter, che in seguito avrebbe descritto come una sorta di terapia.
Non potreste mai fallire su tutta la linea come feci io – ha aggiunto ai laureandi di Harvard – una certa dose di fallimento nella vita è inevitabile.
La stesura di Harry Potter
La stesura del primo romanzo avvenne quindi in quel periodo nel pub del cognato, dove J.K. Rowling si recava insieme alla figlia Jessica ancora nel passeggino. La bambina fu per lei un’ancora di salvezza, perché la scrittrice cercò di costruire per lei un futuro.
Ho smesso – ha chiosato – di fingere di essere qualcos’altro se non me stessa e ho iniziato a indirizzare tutte le mie energie verso la conclusione dell’unico lavoro che per me aveva importanza. Non mi occupavo davvero di nient’altro, se non trovare la determinazione nel riuscire in un campo a cui credevo di appartenere veramente. Ero finalmente libera perché la mia più grande paura si era davvero avverata, ed ero ancora viva, e avevo già una figlia che ho adorato, e avevo una vecchia macchina da scrivere e una grande idea.
L’agente letterario
Sembra impossibile ma perfino J.K. Rowling ebbe difficoltà a trovare un agente: alla fine accettò Christopher Little nel 1995.
Il sapere – ha detto – che vi rialzerete più saggi e più forti dalle cadute significa che sarete, da allora in poi, sicuri nella vostra capacità di sopravvivere.
I rifiuti di Harry Potter
Per dodici volte, dodici case editrici rifiutarono il manoscritto di Harry Potter e la pietra filosofale. La ragione: per le case editrici era troppo lungo.
La vita – ha detto la scrittrice, citando Seneca alla fine del suo discorso – è come un racconto: non è importante quanto sia lunga, ma quanto sia buona.
Alla fine la pubblicazione
Solo nel 1997 una casa editrice, la Bloomsbury, accettò il manoscritto del libro che sarebbe diventato un fenomeno globale.
Non abbiamo bisogno della magia per trasformare il mondo – ha proseguito – noi portiamo tutto il potere di cui abbiamo bisogno già dentro di noi: abbiamo il potere di immaginare le cose come migliori.
L’immaginazione
Una parte del discorso di J.K. Rowling a Harvard ha riguardato proprio l’immaginazione. Senza immaginazione lei non avrebbe creato Harry Potter, non avrebbe proseguito a sbagliare e rialzarsi, non ci avrebbe donato uno dei personaggi più “magici” di tutti i tempi.
Immaginazione – ha chiarito – non è solo la capacità unicamente umana di prefigurare ciò che non c’è, e perciò la fonte di tutte le invenzioni e le innovazioni. Nella sua capacità discutibilmente più trasformatrice e rivelatoria, è il potere che ci rende capaci di empatia con gli altri esseri umani le cui esperienze non abbiamo mai condiviso.
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