C’è un film che, a distanza di trent’anni, è sempre un jolly del palinsesto televisivo: in qualunque sera dell’anno, Pretty Woman è uno di quei classici che fanno sempre boom d’ascolti. Un’innocua favola in stile Disney per molti, un inno allo sfruttamento del corpo della donna, per altri. La scrittrice inglese Julie Bindel si trova sicuramente nel secondo gruppo, quello dei detrattori: non a caso uno dei suoi libri si intitola Il mito Pretty Woman ed è un’analisi approfondita e dettagliata del mercato mondiale del sesso. Per scriverlo, ha viaggiato per due anni fra Europa, Asia, Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Africa, raccogliendo 250 interviste, visitando bordelli e incontrando femministe abolizioniste, attivisti pro-sex work, poliziotti, politici e clienti.
Il mito Pretty woman. Come la lobby dell'industria del sesso ci spaccia la prostituzione
“Non è come in Pretty Woman, la donna prostituta in verità è disperata e abusata in modo estremo“, ha spiegato al programma Agorà, parlando del suo libro. “L’acquirente non è come Richard Gere, carino, gentile e pulito”. La sua indagine sfata punta in particolar modo a sfatare il fatto che la prostituta sia definita una sex worker e spiega perché la prostituzione non è un lavoro, ma un abuso a pagamento. In Italia, così come nel resto del mondo, il commercio del sesso è sempre al centro del dibattito e i tentativi di legalizzare la prostituzione si ripropongono ciclicamente. Le esperienze di altri paesi che hanno già tentato la strada della decriminalizzazione, però, dimostrano come l’industria del sesso abbia sempre un solo scopo, sia alla luce del sole che nell’illegalità: abusare dei corpi delle donne.
“Per prima cosa non si può far diventare l’interno del corpo di una donna un luogo di lavoro”, ha detto Julie Bindel in un’intervista al Manifesto. “Il secondo punto è che se il sesso è lavoro, allora lo stupro è semplicemente un furto. La terza cosa è che non è accettabile chiamarlo lavoro o occupazione quando il rischio del mestiere è la morte per contagio da Aids, suicidio, femminicidio”. Soprattutto negli ultimi anni, ci sono state femministe che hanno rivendicato il diritto di scegliere se prostituirsi oppure no, ma lei la pensa diversamente.
A queste donne dico che ci sono centinaia di modi di essere femministe e la maggior parte di questi sono sbagliati. Il femminismo liberista non è affatto femminismo, è semplicemente liberismo fatto da donne. Il vero femminismo è quello che cerca di liberare tutte le donne dalle situazioni peggiori. Noi ci preoccupiamo più di quelle che stanno in fondo alla scala sociale perché sono le più indifese.
È chiaro quindi che Julie ha perfettamente ragione nel ribadire come la “favola” di Pretty Woman sia, appunto, un bel sogno irrealistico. La realtà purtroppo è più cruda e fatta di orrori. Lo sfruttamento della prostituzione è una pratica tanto diffusa quanto condannabile. Resta aperto invece il dibattito di coloro che, anziché debellare la prostituzione, propongono la sua regolamentazione, ma anche per costoro Julie ha qualcosa da dire.
Sfogliate la gallery per leggere alcune testimonianze raccolte da Julie Bindel…
Julie Bindel
A chi la accusa di avere una posizione troppo severa, Julie Bindel risponde così:
In quanto femminista radicale, vengo spesso accusata di sostenere che “tutti gli uomini sono potenziali stupratori”. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità: le femministe radicali non pensano che i bambini nascano programmati per compiere atti di violenza contro le donne, come non credono che le bambine nascano per diventare vittime. Ciò che noi crediamo è che nel patriarcato agli uomini si attribuisca potere sulle donne e che un modo per esercitare quel potere sia essere violenti verso le donne. Per usare le parole di uno dei compratori di sesso incontrati a Londra: “Se non mi fosse possibile fare sesso con una prostituta e fossi frustrato, potrebbe capitarmi di uscire e assalire una donna vera”. La “donna vera” a cui l’uomo si riferiva è una donna non prostituita.
"Il mito Pretty Woman"
Perché scegliere il sesso a pagamento? Ecco alcune motivazioni raccolte da Julie Bindel nel suo libro:
• “Una prostituta è come la valvola di una pentola a pressione.”
• “Paghi per la comodità, un po’ come per i gabinetti pubblici.”
• “È solo un lavoro, perché dovrebbero pensare diversamente? Non hanno sensi di colpa. All’inizio provano delle emozioni, ma poi diventa una routine, dopo un po’ certe emozioni spariscono.”
• “Sono ragazze che nessun altro vuole sposare, dunque fanno sesso come lavoro. Nessuno vuole che la propria moglie sia una prostituta.”
• “Uso quelle che ho addestrato io stesso.”• “È come farsi un bel pranzetto.”
• “Sono stato anni senza una compagna fissa: per me ha significato non dover entrare in un mondo che non mi voleva. Quando penso alla benzina e alle scarpe dei bambini che ho permesso di comprare… Non dico che sono esattamente un filantropo, ma certo ho fatto la differenza.”
• “Forse se gli uomini potessero averla [la prostituzione] come servizio sanitario pubblico se sono disabili, questo potrebbe prevenire gli stupri.”
La situazione dei bordelli in Nevada
Julie Bindel descrive anche un personaggio tipico da bordello legale: il “pappone”.
Dennis Hof, un personaggio che abbiamo già incontrato, è un pappone popolare che si vede spesso in tv nella serie Cathouse, un programma di propaganda per il mercato legale del sesso. È proprietario del Love Ranch nella contea di Nye e del famoso Moonlite Bunny Ranch, poche miglia a sud di Carson City, nel Nevada, e di altre attività legate alla commercializzazione del sesso. Hof dichiara di essere un attivista impegnatissimo contro la tratta. A sentire lui, non c’è stupro né tratta né Hiv né alcuna forma di attività illecita nei bordelli che operano in regime di regolamentazione. Nei suoi bordelli le donne hanno il divieto di sorridere, giocherellare con i capelli o dare l’impressione di “spingere” la vendita delle loro prestazioni, perché si tratterebbe di competizione sleale.
La legalità? Non ha cambiato nulla
I compratori di sesso sono uomini dall’aspetto ordinario, di tutte le età e in generale sufficientemente presentabili da poter rimorchiare una donna in un qualunque bar. Hof sostiene che legalizzare i bordelli serva a prevenire la diffusione dell’industria illegale. Sta di fatto che i bordelli illegali stanno aumentando in Nevada, come del resto in ogni parte del mondo in cui sono stati regolamentati. L’industria della prostituzione illegale, secondo indagini del governo statunitense, è, in questo stato, già nove volte maggiore di quella dei bordelli legali.
Come vengono trattate le donne nei bordelli
Come succede nella maggior parte degli altri bordelli, le donne non possono uscire senza il permesso del gestore e, quando lo fanno, sono accompagnate da un assistente sfruttatore. Gli sfruttatori legali non sono contrari alla vendita di donne con disabilità mentali. Al Mustang Ranch ho potuto parlare brevemente con Sindy, anche se Austin non mi aveva dato il permesso di intervistarla.
Austin me l’ha descritta come “una bambina di 9 anni intrappolata in un corpo di adulta”. A quanto mi ha raccontato, Sindy era cresciuta in una famiglia affidataria ed era stata venduta al bordello dal padre del suo ragazzo mentre questi era in prigione, con una condanna a dieci anni per detenzione di immagini di violenze su minorenni.
Perché pagare?
Nel quartiere a luci rosse di Amsterdam, l’autrice ha raccolto le testimonianze di alcuni uomini, come questa:
Pago per il sesso perché posso. Portare una donna fuori a cena mi costa soldi, e allora perché no? Perché è una mia necessità e così lei può dare da mangiare ai suoi figli.
Il mercato legale in Nuova Zelanda
Ad Auckland, in Nuova Zelanda, Julie Bindel ha chiesto a una prostituta se i compratori fossero diventati meno violenti dopo la decriminalizzazione. Ecco la risposta:
Di recente sono stata stuprata con una bottiglia. Non mi era mai capitato prima. Mi hanno infilato dentro una bottiglia e l’hanno rotta. Il giorno dopo mi sono trovata a raccontarlo all’Esercito della Salvezza. Poi ho telefonato a un’amica e le ho detto: “Sono stata stuprata”. Ho cominciato a piangere: adesso un poliziotto mi chiederà: “Quanto era grande la bottiglia? Di che colore era?”.
Non importa di che colore era la bottiglia… era una bottiglia ed era dentro di me. Sono stata minacciata, mi hanno detto di andarmene dalla strada. Portavo sempre con me un’arma, infilata dentro un cappotto nero lungo. Poi ho comprato una pistola giocattolo che sembrava vera. Poi ho pensato, no, perché i maiali avranno la meglio, che sia una pistola di plastica oppure no. Poi mi sono messa un cacciavite nel reggiseno, e ora è diventato semplicemente: chi se ne fotte.
Cosa ne pensi?