L'amore tra Giuseppe Ungaretti e Bruna Bianco, di 52 anni più giovane di lui
A quasi ottant'anni il poeta si innamorò di una giovane donna, sfidando le convenzioni sociali ed esprimendo tutta la sua passione in lettere intense e struggenti
A quasi ottant'anni il poeta si innamorò di una giovane donna, sfidando le convenzioni sociali ed esprimendo tutta la sua passione in lettere intense e struggenti
“Sei comparsa al portone / in un vestito rosso / per dirmi che sei fuoco / che consuma e riaccende”: con queste parole, affidate alla poesia 12 settembre 1966, Giuseppe Ungaretti cristallizzò eternamente il sentimento provato fin dal primo incontro con il suo ultimo amore. Era l’estate del 1966, lei si chiamava Bruna Bianco e aveva 26 anni, cinquantadue in meno di lui. Accadde tutto a San Paolo, la città dove lei viveva da diversi anni con la famiglia e dove il poeta si recava spesso, per andare a far visita alla tomba del figlio Antonietto, morto nel 1939 a soli nove anni. Come raccontato da La Stampa, fu proprio la ragazza ad avvicinarlo, in un albergo, per sottoporgli alcune poesie.
“Lo stavo aspettando nella hall. Come entrò, non capii che cosa mi stesse accadendo. Parlammo per un’ora, mi invitò a colazione, mi chiese il numero di telefono”, ha raccontato Bruna Bianco, che in quell’occasione rifiutò l’invito, al quotidiano. “Mi abbracciò e mi accompagnò con un lungo gesto delle mani. Tutto il mio corpo fu solcato da una lunga, intima vibrazione, da un piacere sensoriale che non avevo mai provato”.
Iniziò così una passione vissuta in pochi incontri, tre in Italia e tre in Brasile, ma consumata su carta. Solo molti decenni dopo la morte di Giuseppe Ungaretti, la destinataria delle brucianti missive ha deciso di renderle pubbliche, pubblicandole nella raccolta Lettere a Bruna.
Mi stringo con le due mani il viso, e l’accarezzo e nel mio viso rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
Una musicalità sublime e una grande dolcezza si intrecciavano con l’entusiasmo fanciullesco e la malinconia per il tempo che stava sfuggendo inesorabilmente dalle dita di Ungaretti.
Angelo mio, luce mia, amorissimo mio, piccolina mia, graziosa mia sovrana, intrepido amore. Ti amo tanto, tanto tanto e ti bacio fino all’oblio di me e di tutto.
Nell’inarrestabile furore epistolare, il poeta non frenava nulla. Si sentiva vecchio, “oltre misura vecchio, quasi un antenato”, ma per lei ringiovanì, smettendo di camminare curvo e con il bastone, iniziando a vestirsi da gentleman. Pensarono addirittura al matrimonio, tanto da far preparare le fedi, ma qualcuno o qualcosa si mise in mezzo al loro ardore. O forse fu il timore che la relazione gli facesse perdere il Nobel, che comunque non arrivò mai. Ma Ungà, come lo chiamava lei, non ebbe mai alcun dubbio su di lei.
Perché dubiti di me? Perché non hai fede in me? Perché sei turbata? Sii serena. Non penso che a trascorrere la mia vita con Te, non ardo che del desiderio di esserti sempre vicino, di continuo vicino, di continuo con il grido strozzato del mio amore sulle Tue labbra, carissime, le tue labbra amorose, amore, vivificanti labbra, bacio che mi fa credere giovane, un giovane Dio, immortale. Illusione? Certo. Ma sublime. Ti amo.
In seguito alla morte di Giuseppe Ungaretti, nel 1970, Bruna Bianco non scrisse più nulla. “Dopo un amore così grande, l’unica scelta era ricominciare da zero, essere normale”. Nel corso del tempo, però, giunse la decisione di rendere pubbliche le lettere, che aveva persino pensato di bruciare. “Adesso posso dirlo con certezza: l’età in amore non conta, ho un vigore che mi farebbe accettare qualsiasi sfida, come lui allora. Questo è l’insegnamento che mi ha lasciato Ungà con le sue lettere destinate non più soltanto a me, ma a tutti”.
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio del 1888, da genitori italiani. Suo padre lavorava come operaio al Canale di Suez, mentre sua madre gestiva un forno, grazie a cui riuscì a far studiare il figlio dopo la morte prematura del marito. Fu proprio durante il periodo scolastico che si manifestò in Giuseppe Ungaretti la passione per la poesia, stimolata dalla vita in un contesto multiculturale. Si trasferì a Parigi per gli studi universitari e, durante il viaggio, per la prima volta vide l’Italia, anche se da lontano. Nella capitale francese frequentò la Sorbona e conobbe poeti e artisti già affermati, come Guillaume Apollinaire, Aldo Palazzeschi, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Amedeo Modigliani e Georges Braque. Iniziò a pubblicare, ma la vita “si mise in mezzo”: allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, decise di partire volontario. Molte delle sue poesie vennero composte proprio durante quegli anni.
Dopo la fine della Grande Guerra, Ungaretti tornò a Parigi e iniziò la sua nuova vita. Nel 1919 pubblicò una raccolta in francese, poi tradotta in italiano con il titolo Allegria di naufragi, e negli stessi anni si sposò con Jeanne Dupoix, dalla quale ebbe tre figli: Anna Maria, Ninon e Antonietto. Negli Anni Venti si trasferì con la famiglia a Roma, per lavorare al Ministero degli Esteri, ma la sua fama crebbe tanto da portarlo a tenere conferenze in tutto il mondo. In quegli anni decise di aderire al fascismo, scelta che gli costò molto cara alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Tornato in Italia nel 1942 dopo aver insegnato a San Paolo, in Brasile, aveva infatti ottenuto una cattedra di letteratura alla Sapienza. Nel 1944 venne interdetto dall’insegnamento, per essere reintegrato tre anni dopo.
Mentre il mondo iniziava a riconoscere la sua importanza nella scena poetica, la casa editrice Mondadori pubblicò la sua opera omnia, intitolata Vita d’un uomo. Nel 1958 sua moglie Jeanne morì: fu un grande dolore per il poeta, che continuò però a scrivere e a girare il mondo, ottenendo premi importanti come il Premio Montefeltro nel 1960 e il Premio Etna-Taormina nel 1966.
Nel 1966, quasi dieci anni dopo la morte della moglie, conobbe la giovane Bruna Bianco, con cui intrecciò un legame di tre anni. “Ero frenata dai pregiudizi. ‘Ma che combineranno quei due?’ malignava la gente”, ha raccontato lei a Repubblica nel 2017, commentando la decisione di pubblicare la raccolta di lettere. “E poi la Bruna di allora era morta, sepolta, finita anche lei in quella cassapanca. Solo pochi anni fa ho deciso che era tempo di riaprirla”.
Nel 1969 il Premio Nobel per la letteratura venne assegnato a Samuel Beckett: fu una grande delusione per Ungaretti. Contemporaneamente, il rapporto con Bruna aveva iniziato a incrinarsi. “Ungà aveva promesso che sarebbe venuto al mio compleanno, ma non si presentò. Mi offesi. Ho scoperto in seguito che gli avevano sconsigliato il viaggio: in Brasile c’era la dittatura e una sua visita non l’avrebbe messo in buona luce nella prospettiva del Nobel“. Poi arrivò anche la malattia. “Capì che il tempo era scaduto. Anche per questo decise di sparire dalla mia vita. Voleva ridurmi la sofferenza”. Ungaretti morì a Milano nel giugno dell’anno seguente, per una broncopolmonite.
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