10 anni dall'omicidio di Avetrana: la necessità di riportare al centro la vittima
Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni hanno scritto Sarah - La ragazza di Avetrana, che ridà centralità a Sarah Scazzi nella sua stessa vicenda oggetto di cronaca nera.
Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni hanno scritto Sarah - La ragazza di Avetrana, che ridà centralità a Sarah Scazzi nella sua stessa vicenda oggetto di cronaca nera.
È passato molto tempo, sono passati 10 anni, ma l’omicidio di Sarah Scazzi è ben impresso nell’immaginario collettivo. In questi anni, è accaduto spesso che l’attenzione da Sarah si sia spostata sulla vicenda giudiziaria relativa al suo omicidio: non è un fenomeno insolito, ma è comunque doloroso, perché sposta l’attenzione dalla vittima nella centralità della sua stessa morte.
A ridare centralità a quella ragazza del Sud che ride, per sempre giovane, in quegli scatti digitali che hanno fatto il giro del Belpaese è però un libro dal titolo Sarah – La ragazza di Avetrana, scritto da Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni ed edito per i tipi di Fandango Libri. Il volume è alla seconda ristampa, e Matteo Rovere con Groenlandia sta per produrre una serie tv con la regia di Pippo Mezzapesa. Abbiamo intervistato Piccinni, che è appunto co-autrice del volume.
Come nasce la decisione di scrivere questo libro?
I motivi sono diversi, anche fra me e Carmine. Da tarantina volevo confrontarmi con la mia terra d’origine, con le sue abitudini culturali e antropologiche. Volevo indagare l’orizzonte umano della provincia meridionale, di una terra ruvida e misteriosa. Carmine voleva invece addentrarsi nelle numerose, inquietanti voragini del caso. Ma abbiamo voluto anche raccontare quella commistione tra media, voci di paese, indagini giudiziali che a un certo punto porta a seguire una verità viziata, quantomeno incompleta.
Quali aspetti della vicenda avete voluto privilegiare?
Abbiamo lavorato su tre fronti: facendo ricerche d’archivio, leggendo la mole spaventosa di documenti che raccontano le indagini e il processo e superano le 20mila pagine, incontrando i protagonisti della vicenda. Il libro ha testimonianze inedite, tanti documenti e una meticolosa ricostruzione di tutti i buchi abissali che costellano le indagini e le sentenze. È stato un lavoro lungo, un’immersione nella parte oscura della nostra Italia, e in qualche modo in noi stessi. Un esempio? Michele Misseri, dopo dieci anni, è tornato a professarsi colpevole e per la prima volta ha raccontato tutta la sua vita. A cominciare dalla sua infanzia di abusi e povertà. Il nostro approccio però è sempre stato laico: siamo partiti senza pregiudizi e senza idee preconcette, siamo usciti pieni di domande e con la convinzione che, nonostante i tre gradi di giudizio, forse Cosima e Sabrina non possono dirsi colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio. E questo, considerato che sono condannate all’ergastolo, deve far riflettere tutti.
Il vostro libro, fin da titolo e copertina, sembra rimettere la giovanissima Sarah al centro della storia. Cosa si può fare per ridare centralità alle vittime, a fronte delle cronache quotidiane che sembrano invece puntare l’attenzione sui killer o presunti killer di un determinato omicidio?
Esercitare l’empatia potrebbe essere un buon punto di partenza. Ma come in tutti i grandi casi di cronaca nera, in cui esplode l’attenzione mediatica, la vittima è passata in secondo piano. Ad Avetrana è andato in onda un reality show dell’orrore, un cortocircuito fra le ambizioni degli avetranesi e delle persone coinvolte, che improvvisamente si sono ritrovate personaggi televisivi e da rotocalco. Uno scontro fra le capacità manipolative di una certa stampa scandalistica e l’innocente ricerca della verità. Un mix esplosivo che ha avuto per tutti esiti nefasti: ne hanno risentito le indagini, tutte le persone coinvolte, soprattutto, come dicevi, Sarah. La sua morte è passata in secondo piano. Ha trionfato, piuttosto, il racconto delle ricerche del corpo nelle campagne intorno ad Avetrana fatta in diretta da Federica Sciarelli nel corso di Chi l’ha visto?. Lo sguardo della madre, Concetta, per chi lo osserva è indimenticabile. Eppure Sarah deve essere riportata al centro di tutto. Con i suoi sogni, con le sue ambizioni, con la sua vita da adolescente stroncata nella lunga, eterna estate dei suoi quindici anni.
Nella storia di Sarah ci furono scivoloni mediatici? Se sì, quali furono quelli che maggiormente ci indussero una riflessione sulla deontologia giornalistica?
Partiamo dal presupposto che video di interviste televisive sono state acquisite agli atti, e che una teste si è fatta mettere delle ricetrasmittenti addosso per registrare una presunta testimonianza per inchiodare Cosima e Sabrina. Questi, ovviamente, sono solo due paradossali esempi. Fra compensi economici ai possibili testimoni, manipolazioni più o meno subdole e caccia al colpevole tutto il peggio del giornalismo italiano è andato in onda, spesso in diretta, da Avetrana. C’è una frase che Michele Misseri dice alla moglie, parlando dal carcere, e che racchiude tutto il suo buon senso contadino: «Forse il problema è che abbiamo parlato troppo alla televisione». Il problema non è stato questo, ovviamente, ma tutto ciò che è seguito alla tragica morte di Sarah Scazzi. In tanti, per nascondere i loro segretucci, hanno reso la ricerca della verità complessa, se non impossibile. Ma sempre in diretta.
Sarah – La ragazza di Avetrana diverrà una serie tv e c’è già chi grida allo scandalo. Perché invece è importante leggere il vostro libro e poi guardare la serie?
Da sempre la cronaca nera è stata materia di rielaborazione da parte del cinema, del teatro e della televisione. Nel nostro Paese si è sempre molto restii, anche se la tradizione più recente sta facendo cambiare le cose, a raccontare di fatti veri. Penso per esempio a Matteo Garrone che ha portato sullo schermo l’Imbalsamatore e il Canaro, raccontati da Vincenzo Cerami prima sul Messaggero dunque in Fattacci. Utilizzare invece lo strumento della parola e dell’immagine per comprendere i fatti di cronaca, cercando di annullare la morbosità a favore del ragionamento complesso, è una strada ampiamente intrapresa all’estero che nel nostro Paese viene messa all’indice con la consueta ipocrisia. Eppure non dovremmo scandalizzarci per la serie tv, bensì per quello che ad Avetrana è accaduto: un carrozzone mediatico che si è trascinato per mesi a rete unificate creando ansie e timori negli spettatori a casa e nei lettori. Un caso intricato e seguitissimo. In pratica una continua farsa dei protagonisti, il primo processo mediatico nel nostro paese.
In gallery abbiamo ripercorso il caso dell’omicidio di Sarah Scazzi:
Sarah Scazzi, 16 anni, era una ragazzina di Avetrana, in provincia di Taranto. Scomparve senza lasciare traccia nel pomeriggio del 26 agosto 2010, mentre si recava a casa di alcuni parenti per andare al mare: i social si mobilitarono per settimane per le sue ricerche, la foto di Sarah fece il giro di tutta Italia e, oltre alle forze dell’ordine anche la trasmissione Chi l’ha visto fu interessata dalle indagini. Tanto che la famiglia Scazzi seppe del ritrovamento del corpo di Sarah in diretta tv. Il ritrovamento avvenne il 6 ottobre: lo zio Michele Misseri confessò di averla uccisa dopo aver tentato di violentarla e di aver nascosto il corpo in un pozzo nelle campagne intorno ad Avetrana.
Una parte della famiglia Misseri è stata condannata, direttamente o indirettamente, in relazione all’omicidio. Sabrina Misseri, cugina di Sarah, e Cosima Serrano, madre di Sabrina, sono state condannate all’ergastolo per l’omicidio, mentre Michele Misseri fu condannato a 8 anni per soppressione del cadavere e inquinamento delle prove, dopo essersi autoaccusato e aver ritrattato. Altre persone sono state condannate a pene minori, nel loro stesso processo ma anche in altri collaterali alla vicenda che ha portato alla morte di Sarah. Cosima e Sabrina si sono sempre dichiarate innocenti.
Le indagini e i processi sono stati molto lunghi. Già dalla settimana successiva al ritrovamento di Sarah, però, Michele Misseri parve non essere più l’esecutore dell’omicidio. L’uomo ritrattò più volte le numerose versioni dei fatti fornite, arrivando poi ad accusare la figlia Sabrina e la moglie Cosima.
Quando Michele Misseri si autoaccusò dell’omicidio, riferì di essere stato guidato da un movente sessuale e di aver fatto fantasie erotiche sulla nipote minorenne. La giustizia non ha creduto all’uomo ma ha stabilito che il movente di Sabrina Misseri sia stata la gelosia nei confronti di Sarah, per le attenzioni che un loro amico, Ivano Russo aveva nei confronti della ragazzina.
I media, la tv in particolare, furono travolti da un’ondata di indignazione, all’epoca dei fatti nel 2010. Le accuse che furono rivolte a varie trasmissioni televisive furono legate alle numerose ospitate di Sabrina Misseri, quando ancora non era stata accusata dell’omicidio, e al concetto di «tv del dolore». Levate di scudi furono sollevate anche su Chi l’ha visto?, che diede in diretta la notizia del ritrovamento del corpo alla famiglia Scazzi: la vicenda ricordò a molti la lunga diretta televisiva che accompagnò la morte di Alfredino Rampi, un bambino di 6 anni che nel giugno 1981 cadde in un pozzo a Vermicino e nessuno riuscì a salvare nonostante numerosi tentativi.
Nel 2018, Franca Leosini intervistò Sabrina Misseri e Cosima Serrano nel corso di Storie maledette. Alle due donne condannate per il delitto di Sarah fu data per la prima volta parola in tv dopo la condanna. Sabrina e Cosima ripercorsero con Leosini le vicende, continuando a proclamare la loro innocenza.
Come ogni storia che abbia sconvolto le coscienze collettive, Sarah e il suo omicidio, oltre che i Misseri condannati, sono stati al centro di varie opere di fantasia. Tra questi vanno ricordati alcuni brani musicali, come Anthem Pt.1 di Fedez e Le leggende non muoiono mai di Fabri Fibra. In Killer Star di Immanuel Casto si ribadisce e si condanna invece come la cronaca privilegi troppo spesso e tristemente il punto di vista dei killer o presunti tali (viene nominato Michele Misseri che la giustizia non ha riconosciuto come l’assassino di Sarah), togliendo centralità alle vittime nella loro stessa morte.
Nel 2011, Checco Zalone fece un’imitazione di Michele Misseri che fu aspramente criticata. Oggetto della satira del comico fu appunto la tv del dolore e il modo in cui la televisione passa da un argomento a un altro mescolando cronaca nera a ricette di cucina, senza avere rispetto delle vittime.
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