Quella lettera in cui Primo Levi spiegò Auschwitz a una bambina

Quella lettera in cui Primo Levi spiegò Auschwitz a una bambina
Fonte: Monica Perosino/La Stampa
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Primo Levi e la «banalità del male». Mutuiamo questa espressione, il titolo di un libro di Hannah Arendt per raccontarvi una storia che ha a che fare con lo scrittore torinese. Su La Stampa, Monica Perosino ha raccontato tempo addietro di quando da piccola lesse il romanzo Se questo è un uomo e poi sentì il bisogno di scrivere a Primo Levi, con tutta l’ingenuità che ogni bambina avrebbe a 11 anni. Sorprendentemente Levi le rispose nel giorno di una data simbolo: il 25 aprile, il giorno della Festa della Liberazione italiana dal nazifascismo. Perosino scrisse all’autore per una ragione: voleva capire perché nessuno fosse riuscito a fermare prima l’Olocausto e se i tedeschi fossero cattivi.

A mio parere – rispose Primo Levi – sarebbe assurdo accusare tutti i tedeschi di allora […] È però certo che una grande maggioranza del popolo tedesco ha accettato Hitler, ha votato per lui, lo ha approvato ed applaudito, finché ha avuto successi politici e militari; eppure, molti tedeschi, direttamente o indirettamente, avevano pur dovuto sapere cosa avveniva, non solo nei Lager, ma in tutti i territori occupati, e specialmente in Europa Orientale. Perciò, piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la verità poteva conoscerla, e farla conoscere, anche senza correre eccessivi rischi.

È in quell’«ignoranza volontaria» che non si può non riconoscere la banalità del male, quella che si adagia su una situazione perché non tocca personalmente, non tocca da vicino. Un po’ come in quel sermone di Martin Niemöller – le cui parole sono erroneamente attribuite a Bertold Brecht – che descrisse il silenzio degli intellettuali tedeschi e come questo favorì l’ascesa del nazismo. E a noi sembra quasi che abbia ragione Woody Allen in Hannah e le sue sorelle, quando si evidenzia come gli orrori dell’Olocausto accadano anche oggi, in forme più sottili.

Primo Levi si diplomò e si laureò in fisica durante il Fascismo. Nonostante gli ostacoli delle leggi razziali – Levi aveva origini ebraiche – lo scrittore riuscì a discutere la sua tesi in fisica. Poi si alleò con i partigiani – ma non ne parlò mai troppo diffusamente – e fu catturato dai nazisti e mandato ad Auschwitz, dove fu uno dei venti sopravvissuti. Levi morì nell’aprile 1987: fu trovato nella tromba delle scale, non si sa se per via di un’incidente o per un suicidio. L’esperienza del campo di sterminio è stata orribile per tutti e i suicidi non sono stati un’eccezione: vivere con l’orrore negli occhi non sempre si può, anche quando lo si è superato. Per questo alcuni hanno ritenuto il suicidio una possibilità plausibile, sebbene lo scrittore non abbia mai mostrato tendenze in tal senso. Per conoscere alcune delle opere imperdibili di Levi, sfogliate la gallery insieme a noi.