Ci sono persone che entrano nel cuore della gente e rimangono miti in eterno, anche a distanza di anni dalla loro morte. Persone che, per qualche ragione, gli altri hanno amato, ammirato, stimato, che si sono guadagnate la fiducia del pubblico e lo hanno fatto appassionare alle proprie imprese, sportive, professionali, umane. Al punto da accaparrarsi anche una delle tracce della Maturità 2019, anche se, forse, sarebbe stata l’ultima cosa voluta.

Gino Bartali è sicuramente fra queste; il ciclista fiorentino, che ha dato vita alla mitica rivalità con Fausto Coppi durante gli anni d’oro delle rispettive carriere ed è diventato il simbolo di un’intera epoca sportiva grazie alla fotografia in cui lo si vede intento a scambiarsi una borraccia d’acqua con l’avversario storico durante una gara, è da sempre una figura amatissima dagli appassionati di ciclismo, che ne hanno apprezzato la classe, ma anche il garbo, l’eleganza, l’umiltà. Mancato nel 2000, Ginettaccio, come veniva affettuosamente soprannominato, è ancora oggi uno dei ciclisti simbolo di questo sport, il mito inarrivabile, l’anima buona che ha dato lustro e prestigio alle due ruote.

Eppure, solo da pochi anni è uscita un’altra faccia di Bartali, grazie alle testimonianze del figlio Andrea e di chi, come il giornalista Riccardo Gazzaniga, ha portato alla luce questo aspetto rimasto sconosciuto troppo a lungo del grande campione.

Gino Bartali non era solo un asso del ciclismo, ma un uomo estremamente altruista e generoso, che ha messo a repentaglio la propria vita per salvare quella di moltissima altra gente.

Gazzaniga ha raccontato questa meravigliosa storia di umanità e altruismo nel sui libro, Abbiamo toccato le stelle. Storie di campioni che hanno cambiato il mondo, assieme a quella di moltissimi altri sportivi che la gente ha amato per motivi diversi rispetto alle sole imprese compiute nelle rispettive discipline.

Bartali, racconta Gazzaniga anche in un suo post Facebook, ha vissuto la prima parte della sua carriera durante il periodo della seconda guerra mondiale, quando anche gli ebrei italiani venivano deportati nei campi di sterminio nazisti; così, mentre in Germania l’imprenditore Oskar Schindler stilava la lista grazie a cui riuscì a salvare 1100 ebrei con il pretesto di impiegarli nella sua fabbrica, in Italia Gino Bartali, sempre pedalando in sella alla sua bici, faceva la spola tra la stazione di Terontola-Cortona, nell’aretino, e Assisi, trasportando documenti e carte utili a “costruire” le nuove identità con cui le famiglie ebree potevano mettersi in salvo dai rastrellamenti a tappeto.

Bartali nascondeva fotografie e le altre carte necessarie a fabbricare i documenti falsi con cui gli ebrei potevano sfuggire ai controlli nazisti nel telaio della sua bicicletta, lo faceva staccando il sellino e infilando tutto lì; lo ha fatto per conto del Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa, l’uomo che aveva celebrato il suo matrimonio e che, nel momento del bisogno, aveva subito pensato a lui, con la richiesta, precisa, di tacere con tutti, persino con la sua famiglia, rispetto a quel compito tanto nobile quanto pericoloso.

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Ma Ginettaccio non faceva solo quello: ogni volta che, da Assisi, arrivava un treno su cui viaggiavano gli ebrei che dovevano prendere coincidenze per fuggire in altre parti d’Italia, Bartali si faceva trovare al bar della stazione ferroviaria, mettendosi in mostra per i tifosi e scatenando il caos sufficiente a rendere la presenza degli ebrei meno visibile, di modo che le guardie facessero controlli non troppo rigidi e accurati e lasciassero passare tutti. E poi ci sono in viaggi, sempre in bici, fino a Genova, addirittura in Svizzera, per prendere lettere e denaro, e la famiglia ebrea che è nascosta, da un anno, nella cantina di una sua casa.
Gino Bartali ha messo a rischio la propria incolumità, riuscendo a salvare un numero imprecisato ma considerevole di persone; e ha davvero saputo tacere il segreto che portava con sé, anche quando, ad esempio, fu convocato a Villa Trieste, quartier generale della Banda Carità, che prende il nome dal suo comandante, Mario, una delle formazioni fasciste più spietate mai esistite.

Riccardo Gazzaniga descrive il colloquio fra Bartali e Carità così:

[…] Appena arriva, Bartali viene condotto nelle cantine, dove capisce che è tutto vero quanto ha sentito dire: vede esposte armi, bastoni e vari strumenti di tortura che sembrano medioevali e con cui si fanno parlare le persone, quando le botte non bastano.
Anche Gino, un uomo durissimo e capace di soffrire ogni tormento sui pedali, è spaventato.
‘Erano tempi in cui la vita non costava niente. Era appesa a un filo, al caso, agli umori degli altri’, dirà.
E la sua vita, quel giorno, è appesa agli umori del terribile Mario Carità.
Il gerarca ha intercettato delle lettere, indirizzate a Bartali, che vengono dal Vaticano e lo ringraziano per il suo aiuto.
Le lettere sono lì, sul tavolo.
‘Di che aiuto si tratta, Bartali? Cosa ha fatto per meritarsi i ringraziamenti del Vaticano? Ha portato armi?’
‘Io nemmeno so sparare!’
‘E allora ha portato altre cose! Lo confessi’.
‘Ho solo mandato caffè, farina e zucchero e altro cibo ai bisognosi’.
‘E lei mi vuole far credere che il Vaticano scriverebbe a un campione come lei per ringraziarla di aver mandato caffè, farina e zucchero?
‘Questa è la verità’ insiste Bartali.
Carità lo fissa con i suoi occhi da rettile.
‘Vediamo se in cella si schiarisce le idee’
Gino finisce incarcerato per due giorni, nelle stanze di Villa Triste.
Al terzo giorno lo riportano in cantina, ma Carità non è solo, si è portato tre altri militari. L’aguzzino fascista gli rifà la stessa domanda.
‘Cosa ha fatto per il Vaticano, Bartali? Portava armi? O altro?’
Gino insiste: ‘Caffè, farina e zucchero’.
Carità perde la pazienza, urla, ma uno dei tre ufficiali con lui è un militare che ha avuto Gino al suo servizio, ai tempi della leva.
‘Conosco Bartali, è sempre stato uno sincero, uno che dice la verità. Se i ringraziamenti erano per farina e zucchero, allora è vero. Non perdiamo tempo con lui’.
Carità, riluttante, si convince a liberare il ciclista, anche perché gli americani si avvicinano a Firenze e c’è bisogno di lui e dei suoi uomini per combatterli.
Gino esce tutto intero da Villa Triste, incredulo di essersi salvato per le parole di quel militare che pensava di conoscerlo così bene.

Ma Gino Bartali, quel segreto, in realtà se l’è portato dentro molto più a lungo, decidendo di rivelarlo al figlio, che ha sentito alcune voci a proposito di quel periodo, solo in età molto avanzata.

Ma tu non devi dirlo a nessuno, eh! – gli ha detto – Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca.

In gallery abbiamo riportato le storie di altri campioni che, come Bartali, con il loro coraggio e altruismo hanno contribuito a fare del bene ad altre persone o a cambiare, nel loro piccolo, il mondo. Con la stessa umiltà di Ginettaccio che, onorato dalla medaglia d’oro al merito civile conferita postuma dal presidente Ciampi, nel 2006, la sua vittoria più bella l’ha sempre portata solo nel suo cuore.

Come Gino Bartali salvò tante, tantissime vite, ma non volle che se ne parlasse
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