La casa di Alda Merini si trovava sui Navigli, in Via Ripa Ticinese 47. Dentro c’era una gran confusione, ma su tutto spiccavano le pareti della sua camera da letto, completamente ricoperte da scritte, disegni (di se stessa o degli amici) e da moltissimi numeri di telefono. Tutto marchiato a penna, a matita o con il rossetto. Era il suo affresco personale, che la grande poetessa chiamava il muro degli angeli.

“Tutti mi guardano con occhi spietati, non conoscono i nomi delle mie scritte sui muri e non sanno che sono firme degli angeli per celebrare le lacrime che ho versato per te”. Si conclude così la poesia Il Bacio, contenuta nella raccolta Rasoi di seta, che allude proprio alle pareti della sua stanza.

Dopo la morte della poetessa, avvenuta il 1 novembre 2009, il muro venne staccato e trasferito presso la casa-museo di via Magolfa. Non era possibile lasciare le pareti lì. “La scelta è stata obbligata”, ha raccontato la restauratrice Barbara Ferriani al Corriere. “Visto che i disegni e gli scritti erano tutti fatti a rossetto, matita e pennarello sulla classica pittura lavabile delle pareti domestiche, dove il solo strappo non avrebbe garantito la nitidezza delle parti da conservare”.

Il muro degli angeli non era una semplice parete, ovviamente. Quello è stato a lungo lo sfogo della sua anima e lo specchio dei suoi pensieri, dei suoi desideri e di ciò che accadeva nei suoi giorni e nelle sue notti. Spesso lo usava per annotare versi interi delle sue poesie, mentre le stava dettando al telefono. Ed era anche una rubrica con tutti i suoi numeri di telefono, alcuni “molto personali”: lei stessa aveva spiegato perché l’avesse fatto, come ricordato tempo fa dal Giornale.

Sono la mia agenda. Così non si perdono. Sono comodi, si sa dove sono. E poi alcuni li so leggere solo io… Certo, però, quando andavo in giro e dovevo chiamare qualcuno non riuscivo… Mi dicevano: non ce l’hai l’agenda… E io dicevo: sì ce l’ho, ma l’ho lasciata a casa.

Qualche anno fa La Repubblica ha provato a contattare le persone a cui appartenevano quei numeri, scoprendo molte cose. Ad esempio, uno apparteneva al centralino dell’Istituto Geriatrico Redaelli di Milano. Rispose un infermiere, il signor Agostino, che aveva conosciuto Alda Merini.

Doveva essere l’inverno 1997. Era una persona molto curiosa, che non passava inosservata. Aveva sempre, sempre, la sigaretta accesa. Fumava anche dentro l’ ospedale. Appena poteva si rinchiudeva dentro una stanza a fumare. Diventò molto amica di alcune mie colleghe.

I numeri erano tantissimi e appartenenti a persone (anche a uomini che frequentava) o aziende di qualsiasi tipo. C’era persino quello del Maurizio Costanzo Show, a cui oggi (segno dei tempi televisivi che mutano inesorabilmente) risponde la redazione di Uomini e Donne. E poi c’era anche il numero di Simone Bandirali, medico di Crema, accanto a una scritta in latino maccheronico “poeti ad indigestis”, che così l’ha ricordata:

Andavo da lei quando non lavoravo. Aveva sempre il citofono rotto e mi chiamava sempre per cognome, aveva una memoria prodigiosa e grosso modo riusciva ad abbinare un nome e un cognome a quei numeri scarabocchiati sul muro. Con la parola le ho visto fare cose sciamaniche.

Dopo essere stato in parte recuperato, il muro di Alda Merini ha però avuto un percorso tortuoso, prima di trovare la sua casa definitiva. In molti hanno tentato di salvarlo, compreso Adriano Celentano e le figlie della poetessa, e fortunatamente alla fine tutto si è risolto positivamente. Ora è possibile visitare la ricostruzione della stanza di Alda, con porzioni del muro, nella Casa delle Arti – Spazio Alda Merini di Milano.

Cosa scriveva Alda Merini sul "muro degli angeli" della propria camera
Fonte: Youtube e web
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