Federico Moccia racconta "Tre volte te": "Ascoltare l'amore non ci stanca mai"

Intervista a ruota libera con Federico Moccia, che parla del nuovo romanzo "Tre volte te", terzo capitolo della tormentata storia d'amore che ha per protagonisti Step, Babi e Gin, ma anche di amore, tecnologia... e del suo nuovo film.

È uscito il 18 aprile 2017, e si preannuncia già come un successo clamoroso. A distanza di undici anni dall’ultimo capitolo della tormentata storia d’amore iniziata con “Tre metri sopra il cielo” e proseguita con “Ho voglia di te“, Federico Moccia torna a dare vita ai suoi personaggi più noti: Step, Babi, Gin, sono cresciuti, maturati, sono diventati adulti ma non hanno perso la voglia di amare, di innamorarsi, di vedere le proprie vite sconvolte.

Tre volte te” è il titolo del nuovo romanzo dello scrittore e regista romano, ma chissà se sarà davvero l’ultimo ad avere per protagonisti il tenebroso Step, ex ragazzo ribelle ora diventato un produttore televisivo affermato, Gin, la donna che gli ha insegnato di nuovo ad amare, perdonando anche i suoi errori, e Babi, colei che invece, appena ragazzi, gli ha spezzato il cuore. E chissà se almeno questa volta il lieto fine ci sarà, oppure se dobbiamo di nuovo versare fiumi di lacrime di fronte all’ennesimo amore infranto. Abbiamo provato a farci svelare qualche piccola “anticipazione” dallo stesso Federico Moccia, ma con lui non abbiamo parlato solo di “Tre volte te“, affrontando molti altri temi di estrema attualità, con una piccola parentesi anche sulla sua ultima fatica come regista in “Non c’è Kampo“, commedia che nei prossimi mesi uscirà nelle sale italiane.

Tre volte te

Tre metri sopra il cielo è stato scritto nel 1992, Ho voglia di te nel 2006. Dopo 11 anni il terzo capitolo: cos’è cambiato per lei in questi 11 anni e come si riflette ciò sui suoi personaggi?

Oggi abbiamo troppa fretta di consumare le storie. Ma le storie, specie quelle d’amore, hanno il tempo della vita e scorrono col ritmo delle nostre giornate, delle attese, delle speranze, dei progetti da costruire e anche del dolore da metabolizzare. Pretendono il loro tempo. Mi è sempre piaciuta l’idea di seguire i miei personaggi e lo sviluppo del loro rapporto esattamente come accade nel quotidiano, in modo che settimane, mesi e anni fossero percepiti davvero come succede a ciascuno di noi e non sintetizzati, ridotti, falsati per esigenze narrative. Volevo realtà, non finzione. Volevo che i lettori insieme a me sentissero lo scorrere del tempo per com’è nella vita. È così infatti che si può capire davvero perché e in che modo si evolve una persona, le sue scelte, le sue paure. Non si può sempre e soltanto sintetizzare tutto, lasciando lacune, vuoti e dando per scontato un mondo intero di vicende e mutamenti interiori. Perché i sentimenti ci coinvolgono? Perché ci avvolgono, sono importanti e lasciano il segno proprio perché abitano a lungo nelle nostre esistenze. Non sono fugaci e distratti. Si prendono il tempo che serve per scavare e modellare il nostro essere. La storia di Step, Babi e Gin si snoda lungo un arco temporale ampio, ma soprattutto denso di avvenimenti e sviluppi. Non solo per loro, ma per l’intera società. Contestualizzarli significa renderli sempre più veri, presenti e credibili, testimoni della nostra voglia d’amare e anche di conquistare noi stessi. Perché sta proprio qui il punto: amare qualcuno vuol dire anche arrivare davvero nel profondo di noi grazie a quello che sentiamo. Oggi Step, Babi e Gin sono adulti coerenti con quello che il loro passato ha determinato nelle loro tre vite. Possiamo riconoscerli esattamente come ci accade con un vecchio e caro amico. E come un amico che non vedi da tanto, hanno molto da raccontare. E qualcosa di sorprendente da vivere. Sulla quarta di copertina si legge:

Sono passati sei anni dall’ultima volta che Step ha incontrato Babi, la ragazza che prima gli ha fatto scoprire l’amore e poi gli ha spezzato il cuore. Adesso Step è una persona molto diversa ed è felice con Gin, la donna che ha perdonato i suoi errori e gli ha insegnato di nuovo ad amare. Ma ecco che, inaspettatamente, Babi torna come un tornado nella sua vita, e Step è costretto a riconsiderare tutte le sue scelte rimettendo di nuovo in discussione le proprie certezze...

Questi “sei anni” seguono una cronologia che è diversa dagli undici che sono passati dal 2006, ma per i protagonisti sono davvero sembrati tantissimi, per tutto quello che è successo.

Non solo gli adolescenti, il suo pubblico è davvero vastissimo: perché la gente ha così tanto bisogno di storie d’amore?

R. Sono stato definito più volte negli anni come una specie di “fenomeno” fuori da ogni regola, perché per me raccontare l’amore prescinde da sempre da etichette e schematizzazioni, dai target legati all’età mia e di chi legge. E soprattutto perché non amo tradire la mia idea di narrazione emotiva, che non deve mai perdere di vista la semplicità. È facile tenere alta l’attenzione ricorrendo a colpi di scena assurdi, a situazioni complicatissime per non annoiare. Ma la vera scommessa sta nello stupire con la bellezza semplice della vita. E questo non scade, non passa solo perché gli anni scorrono. Fa parte di tutti noi, profondamente. Perché è ciò che ci accade ogni giorno. I miei lettori sono persone di ogni età, dai 12 agli 80 anni, me ne accorgo quando leggo mail e lettere (sì, mi scrivono anche le buone, antiche, emozionanti lettere cartacee e a farlo sono spesso proprio gli adolescenti), destinate alle rubriche che curo su alcuni giornali o quando partecipo a incontri pubblici o eventi. E soprattutto ogni volta che esce un mio libro e sono in giro a presentarlo. Perché ascoltare l’amore non ci stanca, non ci annoia mai, a nessuna età. Ci aiuta a trovare risposte alle nostre domande, a identificarci in quello che accade nelle storie che leggiamo, ad avere il coraggio di fare certe scelte. Perché ci viene da dire “Ecco, potrei fare come lui, come lei… nel libro succede che…”. La magia della narrazione d’amore risiede nella sua capacità di farci immergere in situazioni che sentiamo simili alle nostre, ma diverse quel tanto che basta da darci un esempio o un insegnamento.

In Tre metri sopra il cielo la storia però non aveva proprio un lieto fine. Step sembrava aver trovato la sua dimensione con Gin nel secondo capitolo… e ora?

R. Step è cresciuto e ogni cosa sembra essere andata al suo posto. Un po’ come quando ti sembrava impossibile che la vita cambiasse, eppure è accaduto e ti accorgi che in fondo è bello così. Step lavora, non è ancora sposato, conserva nel cuore tutto quello che è stato, le corse in moto, i Budokani, le sfide, la ribellione, l’amore, è un giovane uomo alle prese con le sue prime grandi sfide, vuole dimostrare che può farcela, che è in gamba. È un ambito che aveva sperimentato solo un po’, imparando i primi strumenti utili. Ma ora è diverso, si sta mettendo completamente in gioco, sta rischiando il tutto per tutto. Al suo fianco una donna. Una donna che ha scelto, che ha riconquistato cocciutamente e con fiducia, perché così si fa quando si ama davvero. E nessuno ci credeva. Una donna che lo appoggia e condivide le sue scelte. Step è felice. Non si farà mettere i piedi in testa, non mollerà. Ha trovato quindi la sua dimensione? È soddisfatto? La vita è cercare sempre di capire se quello che abbiamo adesso ci rende quello che speravamo di diventare. E anche Gin e Babi, che abbiamo lasciato giovani ragazze, si affacciano alla vita ognuna a suo modo. Una delle due è a fianco di Step. L’altra? È proprio questo sottile gioco di equilibri tra passato e presente che ho cercato di raccontare, tra quel dolore di allora per la scelta che aveva fatto Babi e le incomprensioni, l’amore per Gin e la sua presenza così diversa e nuova e l’adesso. Una fragola divisa in due. Da assaggiare come fosse intera o lasciare invece così?

Perché la decisione di far uscire il libro prima proprio in Spagna?

R. Negli anni la Spagna, ma anche il Portogallo e il Sud America confermano nei confronti delle mie storie un amore che mi stupisce e commuove. Ed è in continua crescita. Stavolta ho pensato di sovvertire un po’ le aspettative e fare il percorso al contrario rispetto a sempre, un po’ come ringraziamento verso i lettori, un po’ perché non amo dare per scontate le cose. Mettersi alla prova, cambiare schema è sempre utile e istruttivo. La Spagna ha voluto fortemente il libro, che là è edito da Planeta e si intitola “Tres veces tú“. E il giorno dopo l’uscita era già in ristampa. I risultati che il libro sta avendo là mi hanno spiazzato. Step, Babi e Gin nel loro terzo capitolo di storia (e ultimo?! Chissà!) hanno catturato il pubblico spagnolo in un modo che non avrei mai creduto possibile. E ora sta per arrivare in Italia, almeno potrò dare una risposta ai tanti lettori che mi hanno scritto chiedendomi più volte “Ma come andrà a finire?” e soprattutto “Ma davvero finirà?”.

Dal 1992 al 2017 ci sono 25 anni, e un mondo nel frattempo sempre più caratterizzato dall’uso dei social media, anche per costruire le proprie relazioni sociali. Come ha impattato la rivoluzione digitale sul suo essere scrittore e sulla stesura di questo libro?

R. Mi affascina il fatto di essere nato in un’epoca analogica e di vivere e lavorare adesso nell’era digitale. Sono due mondi solo in apparenza opposti. Quello che cambia è il bagaglio di nuovi strumenti a disposizione per comunicare. Ma la sostanza profonda delle persone, i loro bisogni emotivi, le aspirazioni e i desideri non cambiano mai troppo. Ce lo insegna da sempre la Storia. L’importante è conoscere a fondo queste dinamiche e saperle padroneggiare per non farsi cogliere alla sprovvista e, magari, dominare in senso negativo. La moltiplicazione delle possibilità è enorme. Tutto si velocizza e, per certi versi, si semplifica e il nostro compito è esserne consapevoli per usare la tecnologia e non farci usare. In concreto, sono molto digitale, ma quando creo scrivo con ostinazione su carta e penna molto analogiche!

A proposito di tecnologia, è in dirittura d’arrivo anche il suo nuovo film “Non c’è Kampo”. Una trama diversa rispetto a “Scusa ma ti chiamo amore” e “Scusa ma ti voglio sposare”, che affronta proprio, ironicamente, il problema della dipendenza da tecnologia dei ragazzi.

R. Sì, è una commedia di impatto emotivo che unisce la mia conoscenza del mondo giovanile con l’attualità dei social. L’abbiamo girato nel Salento, a Scorrano e nei dintorni e rappresenta la realizzazione di un progetto che avevo in mente da tempo. Un esperimento sociale. Raccontare storie significa dare un punto di vista diverso sulla realtà. E dato che la tecnologia è parte integrante delle nostre giornate, con effetti spesso impensabili (basti pensare all’impatto che hanno avuto sulle nostre vite le spunte blu di Whatsapp), ho immaginato una gita scolastica in un paesino del Sud in cui non è presente alcuna connessione internet. Gli studenti sono accompagnati da una professoressa (Vanessa Incontrada) insieme a una collega (Claudia Potenza). Vanessa lascia a Roma il marito (Gianmarco Tognazzi) e conosce un artista affascinante (Corrado Fortuna). Si creeranno molte dinamiche divertenti, dovute anche al fatto che i ragazzi non potranno connettersi. È una sorta di provocazione. Come reagirebbero i giovani se fossero nelle condizioni di non poter utilizzare il proprio smartphone perché non c’è campo per giorni e giorni? Come cambierebbe il loro modo di comunicare? Quali sarebbero gli effetti? Il confronto con un mondo diverso da quello abituale crea uno shock dagli effetti impensabili. Ho legato a questa produzione anche un concorso per le scuole superiori a indirizzo artistico e per l’Accademia delle Belle Arti di Lecce. Ho chiesto loro di rappresentare la “Bellezza dell’imperfezione”. Perché oggi più che mai è importante capire, specie per i giovani, che l’armonia non è fatta da stereotipi di qualunque genere essi siano.

Parlando sempre di cinema… dobbiamo aspettarci l’uscita nelle sale di Tre volte te? C’è già un progetto in corso in questo senso?

R. Amo il cinema da sempre, da quando mio padre, Pipolo, mi portava con sé sui set per farmi lavorare con lui. I due Moccia, lo scrittore e il regista, si completano a vicenda. E non potrei scinderli. Essere autore implica esprimersi in vari modi. E quindi sì, mi piacerebbe realizzare la trasposizione di “Tre volte te”. Molte regole della narrazione sono comuni anche al cinema. Quando facciamo un film partendo dal libro, lavoriamo a riscrivere la storia narrata nel romanzo, scegliendo gli episodi più significativi a discapito di altri, proprio perché i tempi di un film sono diversi da quelli di una lettura. Quando leggiamo siamo noi a decidere il ritmo. Il film deve suggerire rapidamente personaggi e scenari, non può contare sull’ampiezza della narrazione romanzata, deve un po’ tradire il libro e diventare autonomo, pur legandosi a quella storia. Un tradimento formale e non sostanziale, comunque. Il regista soprattutto sa che dovrà misurarsi con quello che lo spettatore, che prima è stato lettore, si aspetta di vedere sullo schermo. A volte resto deluso se non riesco a rendere in pellicola tutte le suggestioni che avevo creato nel libro. Partendo da un libro, occorre riscrivere la storia narrata nel romanzo quasi completamente, facendo inoltre una scelta tra i vari episodi, cercando comunque di mantenere intatta la trama nei suoi aspetti principali. Lo sceneggiatore deve suggerire con una scrittura rapida personaggi e scenari. Non ha disposizione gli “ spazi” ampi della narrazione romanzata. In più partendo dal libro e dunque da un’atmosfera già nota ai lettori, deve fare i conti con ciò che loro si aspettano, sapendo di non poter trasporre sullo schermo ogni singola pagina. Avviene una sorta di ristrutturazione della trama. Il libro in pratica, anzi, la storia, inizia a lavorarci dentro in un altro modo, più ampio.

Lei crede nei colpi di fulmine e negli happy end?

R. Credo a tutto quello che riguarda l’amore, luci e buio, gioia e dolore. In amore ci si scotta e ci si raffredda varie volte. Mille tentativi. Esattamente come quando, sotto la doccia, cerchi la temperatura ideale. L’unico modo è continuare a spostare l’erogatore dell’acqua e, fuori di metafora, dei sentimenti e dei punti di vista. I fulmini sono colpi di luce che per un attimo illuminano le cose e ci fanno capire che esistono. E soprattutto sono i messaggeri delle tempeste, situazioni che cambiano gli equilibri e sconvolgono le nostre certezze. Quindi certo che ci credo. L’amore è stato e sarà sempre il desiderio principale dell’uomo, è il motore del mondo. Lo cerchiamo, lo viviamo, lo rimpiangiamo, ci incuriosisce, ci tormenta e ci fa sentire vivi. Amo l’energia che sa creare, come ci trasforma. Non siamo nati per essere soli, per chiuderci a riccio, per rifiutare gli altri. L’amore è sorriso. Anche quando si piange. E il sorriso è un valore: non significa solo incurvare le labbra verso l’alto, ma averlo dentro. Un sorriso nato dalla capacità di vivere serenamente la vita, senza invidie. Oggi ci sentiamo tutti un po’ “mono”, poco inclini a cercare compromessi per costruire insieme, pronti a rinunciare subito alla prima difficoltà. Incertezze, dubbi, paura di riuscire a sostenere in tutti i sensi il futuro e a volte di perdere la propria libertà. Ma al di là delle epoche un rapporto funziona quando non si confonde la quotidianità con l’abitudine e la noia, quando si riesce a considerare ogni nuovo giorno insieme a chi amiamo una sorpresa, una possibilità. L’amore con il tempo si trasforma, ma non peggiora. Secondo molti invece finita la passione iniziale, spento quel fulmine, quella che ti prende fino in fondo, tutto si appiattisce. E non è vero. Non si deve smettere mai di fare l’amore con la vita. Ecco il segreto, secondo me.
Circa gli “happy end” sappiamo bene che non esiste mai davvero una fine esatta per i sentimenti. Decidiamo qual è il momento in cui smettiamo di raccontare una storia e mettere la parola “Fine”. Ma è davvero una fine? Non si tratta mai della conclusione definitiva. Perché tutto continua a scorrere.

E in quanto al finale della saga? Questo è un “The end” o solo un altro capitolo della vita?

R. Come ho appena detto, la scritta “The end” sancisce solo il momento in cui si interrompe la narrazione. Non la fine vera della storia, perché le storie durano finché c’è vita. Step, Babi e Gin in questo libro vivranno delle situazioni particolari e anche molto forti. E sicuramente ci saranno sviluppi che, per forza di cose, faranno loro prendere delle decisioni importanti e, per certi versi, definitive. Ma una parte della loro storia continuerà ben oltre l’ultima pagina del libro.

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